L’eredità dei Bisnenti

bisnenti Piazza Editore 2010

Premio Europeo di Letteratura giovanile “Provincia di Trento”, 1982

Edizioni DE AGOSTINI 1983 (collana scolastica)                  Traduzione Edizione SM –Madrid 1987

Il vecchio contadino Giacomo Bisnenti è rimasto solo sul suo campicello, un fazzoletto di terra, dissodato e reso fertile dalla fatica di tutta la sua vita. La casa è vuota e lo assale sempre più spesso il ricordo della moglie morta e dei figli ormai lontani. C’è l’amarezza di quell’unico figlio maschio, Giuseppe, che ha voluto trasferirsi nella grande città per avere una vita diversa. Anche Giuseppe ha un figlio, Vincenzo, che il vecchio Giacomo ha visto raramente, molti anni prima, ancora bambino. Vincenzo ha ormai diciassette anni. Dalla nostalgia e dal dolore per l’inutulità di una lunga fatica compiuta sul podere, che non avrà eredi capaci di amarlo, si snoda così questo tenero racconto in cui compare, quasi bruscamente, la dura realtà della vita. Una realtà diversa da quella conosciuta e sofferta da Giacomo, una realtà nuova e terribile. Giacomo la scoprirà andando dal Veneto a Torino per rivedere Giuseppe e per avere notizie di Vincenzo che è fuggito di casa. Il vecchio contadino saprà più degli altri afferrare il senso delle cose e, soprattutto, comprendere quel nipote sconosciuto, infelice e perduto.

RECENSIONI

Antonia Arslan

“Questo libro stimola alcune riflessioni su quei valori tipicamente veneti, di attaccamento alla terra, che non rappresentano in realtà puro conservatorismo né, certo, arretratezza, ma testimoniano  invece un profondo senso della tradizione e della continuità dei valori fondamentali.

L’originalità de “L’eredità dei Bisnenti” consiste, a mio parere, nell’aver inserito la riaffermazione di questi valori non sullo sfondo della vita di campagna, come di solito accade, ma – robustamente- in vittorioso confronto con il falso fascino della vita di città: e proprio questo dovrebbe essere anche uno dei punti di maggior interesse per un lettore giovane”.

 Antonia Arslan

Livio Sossi

“C’è stato nella mia formazione e nella mia esperienza di insegnante un momento in cui ho preso coscienza  del diffondersi fra i giovani di uno stato di crescente disorientamento spirituale che sembra derivare non tanto dalla perdita di valori tradizionali quanto piuttosto dall’assenza di nuovi valori sostitutivi verso cui approdare”.

Le considerazioni che Alessandra Jesi Soligoni riporta nell’intervista in appendice al volume ci permettono di cogliere il significato ed il messaggio di questo suo “L’eredità dei Bisnenti”. L’Autrice è visibilmente turbata dal vuoto spirituale e morale, dalla solitudine e dall’emarginazione in cui vivono i giovani. Reagisce come donna e come scrittrice cercando di indagare cause e motivazioni dell’attuale crisi di valori nella cultura contemporanea e stabilisce precise responsabilità degli adulti.

L’opera nasce quindi come risposta ad una profonda esigenza di comprendere il sociale in chiave etica: non offre soluzioni preconfezionate ma traccia un itinerario problematico, un’ipotesi aperta a molte possibilità di lettura, dove il sociale ha radici nell’umano e sfocia in un monito per le nostre coscienze di individui: gettare un ponte fra la generazione che critica e gli adulti più attenti e responsabilizzati. Solo così si salvaguardano le sorti dell’Umanità.

Su tale motivo di un’osmosi generazionale si basa l’intreccio parallelo delle vicende dei due protagonisti: nonno e nipote, così lontani, così diversi, eppur indissolubilmente uniti nella ricerca e nella fede nei valori della vita.

Giacomo Bisnenti è il vecchio contadino, aggrappato al suo fazzoletto di terra conquistato con il sacrificio di anni di curo lavoro.

Vincenzo, è il nipote diciassettenne, nato e vissuto nella metropoli torinese che una cupa disperazione ha condotto sulla strada della droga. L’uomo rappresenta con accenti verghiani, l’orgoglio, la fierezza, la saggezza di un mondo contadino ormai in lento, inesorabile tramonto; l’altro mostra le contraddizioni della nostra società industrializzata, dove le tentazioni di un benessere sociale facile si scontrano con lo sconforto, la disillusione, il crollo di tutte le speranze.

La lontananza dei due protagonisti consente all’autrice la descrizione ed il confronto fra questi due mondi che oggi convivono fianco a fianco e che nella loro diversità sembrano ignorarsi. Personaggi secondari e altre vicende gravitano intorno a questi due campi magnetici del racconto. Ma su tutti emerge la centralità della figura di Giacomo Bisnenti: il solo che saprà andare incontro al giovane nipote, il solo in grado di capirlo e di comprenderlo e ai cui egli consegnerà la sua eredità materiale, ma soprattutto spirituale: il calore di un ideale di vita, di una ragione per vivere.

I modi dell’integrazione sociale dei giovani passano attraverso il dialogo, la capacità di comunicazione e di confronto. È necessario conversare con i ragazzi, per capirli meglio dalle loro parole,dalle loro comunicazioni. La soluzione della crisi sta per la Soligoni nel cogliere l’eredità spirituale del passato, sta nel ritorno alle proprie radici, espresso dalla bella metafora degli uccelli: “Molti se ne sono andati, come le rondini, ma non tutti. Certi sono rimasti e vengono al mio balcone. Puntano verso il cielo, fanno un giro ma poi tornano.. E il pane è un buon richiamo. E lo è anche per gli uomini.. ma gli uomini sono diversi dagli uccelli: assieme al pane devono trovare anche una ragione di vita. Il pane non basta a saziarli..”(pag.126).

Prevale nell’opera la componente etico-pedagogica, ma il tessuto narrativo è ricco di immagini di vibrante dolcezza che si stemperano nelle pause e nei musicali silenzi e i personaggi sono così autenticamente umani, così dolorosamente veri da sembrare ripresi con l’obiettivo fotografico. La crisi di astinenza dalla droga, la lotta interiore vissuta dal giovane Vincenzo sono espresse con drammatica intensità lirica, mentre i dialoghi talora freddi e brutali sanno trasmetterci il mondo e la disperazione dei ragazzi di oggi.

La Jesi Soligoni prosegue in quest’opera quell’indagine sociale sulla civiltà contemporanea iniziata con “Ines del Traghetto” e con “Due mattoni di casa”, privilegiando soprattutto le macroscopiche contraddizioni, i problemi irrisolti, i conflitti latenti. Il mondo degli esclusi, degli emarginati, dei paria della società non è guardato con vuota retorica pietistica o con stucchevole commiserazione di sapore ottocentesco, ma assume contorni precisi e si colora di umano.

Anche nei più squallidi suburbui troviamo il seme dell’Umanità: è l’umanità dei “Vinti” ( Vincenzo o Marco de “I due mattoni di casa”) che lascia scoprire gli autentici valori spirituali dell’Autrice, la sua fede nelle energie primigenie dei giovani, il suo vitalismo di derivazione handelyana che la accomuna al pensiero di Bressan.  Nella Soligoni vi è pero esclusione del tema più strettamente politico o di critica della società capitalistica, al contrario di quanto avviene nell’opera di Argilli, della Tumiati e della Reggiani, perché viene esaltata la valorizzazione dell’elemento umano: rendere la vita a misura d’uomo, ritrovare la propria identità, “trovare una ragione di vita”. Sarà quella che alla fine consentirà a Vincenzo di dire “non voglio morire, voglio vivere”. (pag.150)

La problematicità dell’esperienza è sottolineata dalla Soligoni nell’assenza di un lieto fine, che il lettore può soltanto supporre, intravedere. Il realismo umano dell’Autrice termina laddove ha inizio la Speranza e la Fede. In ciò  consiste il più autentico valore dell’opera ,e l’elevato messaggio che la Jesi Soligoni ha saputo affidare ai giovani.

L’opera inedita ha ricevuto il 1° premio speciale per gli inediti al 9° Concorso europeo “Provincia di Trento” 1982. È stata pubblicata l’anno seguente in edizione scolastica curata da Isabella Fanti, con note e un’intervista all’autrice dall’Istituto geografico De Agostini di Novara.

 Livio Sossi

 Cristiana Melloni

Alessandra Jesi Soligoni scrive il libro in un lessico semplice, ma
ricco di riflessioni.
Le tematiche sono: il gap generazionale tra nonno, padre e figlio che
crea spesso divergenze, l’amore di Giacomo per la sua casa e per la
sua terra
(la “Boschetta”) e il flagello della droga.
Si nota come l’autrice, insegnante di scuola media, presti molta
attenzione al mondo interiore dei ragazzi. Infatti sono evidenziati i
problemi dell’oggi come la tossicodipendenza, le preoccupazioni dei
genitori nei confronti della crescita dei figli e il forte vincolo famigliare a volte trascurato per mancanza di tempo.
E’ un libro da leggere gustandolo pagina per pagina con la speranza
che tutti i giovani in difficolta’ possano rimbarcarsi sulla nave di
Ulisse che recupero’ i suoi compagni dalla terra dei Lotofagi.

Mafra Gagliardi

L’EREDITA’ DEI BISNENTI DAL NATIO MONTELLO ALLAGRANDE CITTA’ CHE DISTRUGGE LE RADICI

Da Treviso a Torino la storia del giovane protagonista di Sandra Soligoni            Sandra Soligoni Jesi, “L’eredità dei Bisnenti”, Istituto geografico De Agostini ed.

Che vuol dire “Bisnenti”?

Prima di diventare un cognome, era – come spesso succede in questi casi- un termine dispregiativo (“due volte niente”). Indicava quei poveracci che, alla metà dell’Ottocento, vivevano – da nullatenenti appunto – tra i boschi del Montello. Nel libro “L’eredità dei Bisnenti” di Sandra Soligoni Jesi, che ha vinto il 1° premio al Concorso europeo di Letteratura giovanile “Provincia di Trento”, i protagonisti sono due, nonno e nipote: legati dallo stesso cognome alle comuni origini, ma oggi in realtà lontanissimi e diversi.

 Il vecchio Giacomo, dodo una vita di sacrificio, è riuscito finalmente a togliersi il selvatico dalla pelle, si è comprato un pezzo di terra, è diventato una persona “rispettabile”. Il ragazzo, Vincenzo, è uno sradicato:vive a Torino con i genitori immigrati ed è ormai dedito alla droga. Quello che per il vecchio ha un valore fondamentale ( la terra, l’eredità) non ha alcun significato agli occhi del nipote. La frattura tra due generazioni appare incolmabile. Eppure è proprio il vecchio l’unico che riesca ad avvicinarsi al ragazzo, a lanciargli un messaggio che lo aiuti a ritrovare la sua identità, la consapevolezza delle proprie radici. Perché è di questo che Vincenzo ha bisogno, questa forse è la sola eredità che conti.

 Racconto tenero e intenso, “L’eredità dei Bisnenti” ricrea sulla pagina, contrapposto al paesaggio metropolitano in cui si inscrive la figura del ragazzo drogato, il mondo rurale del Montello sulla destra del Piave, dove vive il vecchio; e una coloritura veneta affiora nel linguaggio, nei toponimi, nei proverbi, nella riproposta di una civiltà contadina. Perché di autenticità civile si tratta, con le sue regole e le sue contraddizioni, sostiene la Soligoni, che è veneta di Ormelle (Treviso), ha passato la sua infanzia sulle Grave del Piave, e ha ascoltato da piccola, più che le fiabe, le storie de paese, le vicende a volte allegre, a volte tragiche, della gente di campagna.

La ragazzina chiusa, e “selvadega” che negli anni ’45 conduceva il traghetto da una sponda all’altra del Piave, in quel punto ancora senza ponti, è diventata la “Ines del traghetto” protagonista del suo primo romanzo. E sempre da questo “background” vengono i personaggi dei suoi altri libri, quaid sempre adolescenti colti in un momento difficile della loro evoluzione psicologica, nell’età dei rifiuti radicali e della ricerca, a volte drammatica, di valori alternativi.

 Ma la Soligoni non dà mai una riposta chiave risolutoria o moralistica alla crisi adolescenziale. Rifiutando la ricetta consolatoria del lieto fine, le sue trame restano aperte a soluzioni molteplici.

“E’ il ragazzo lettore che deve tirare le conclusioni, dare delle risposte”, sostiene la scrittrice. “La lettura dev’essere un dialogo alla pari. Se l’adulto prevarica sul ragazzo, assumendo un ruolo didattico, inevitabilmente sacrifica il suo interlocutore, togliendoli – per restare nella metafora – voce in capitolo. Solo se si sente in qualche modo co-autore del libro, il ragazzo riesce a instaurare un rapporto valido con la lettura”.

Sembra che proprio questo sia successo ai ragazzi di due classi della scuola media “Tasso” di Padova che hanno letto quest’anno, come opera di narrativa, “L’eredità del Bisnenti”. A lettura ultimata, hanno voluto incontrarsi con l’autrice. “Perché – come dice Laura, dodici anni, parlando con molta sicurezza anche a nome dei compagni – noi di solito non leggiamo molto volentieri. Ma a questo libro qui ci siamo appassionati..”.

 Mafra Gagliardi