Centauro di carta

Centauro-di-carta-miniEdizioni Aurelia 2012

Storia umanissima di una donna che con atto di amore scavalca il lutto e i conflitti spirituali del suo stato, per riscoprire una primigenia vitale felicità.

Descrizione: Il romanzo delinea il ritratto di un trio famigliare, chiuso in un bozzolo di solitudine dentro una grande città, composto da padre, madre e un figlio adolescente e trasforma presto la storia di una famiglia in storia di una maternità sofferta e sacrificata. La tragica morte sulla strada del figlio Marco, spinge Eleonora, la madre, a compiere una ricerca solitaria della figura di lui, ripercorrendo le tracce del suo breve percorso esistenziale. Così viene a conoscere una impietosa verità, che le restituisce l’immagine di un figlio fragile e prigioniero di falsi miti. Qui, l’argomento principale del romanzo coglie la situazione umana dei due genitori, in particolare di Eleonora, il cui percorso spirituale e di crescita assume il valore di una scoperta e di una rinascita.
La donna, che nelle ore del dolore sembra sospendere ogni affetto e norma della sua vita consueta, trova infine la forza di riprendere a vivere, consapevole di verità fino allora insospettate.
Con estremo gesto d’amore e di rinnovata maternità, Eleonora cerca così di restituire al figlio il senso della breve vita da lui vissuta e la ragione della sua incancellabile esistenza.

 

 

RECENSIONI

Pino Boero alla sezione Bologna Children’s Book Fair 2016: segnalazione di Pino Boero

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L’alba arte cultura e società – settembre 2014

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La trevigiana Alessandra Jesi Soligoni, nota scrittrice per l’adolescenza, ha prodotto una serie di fortunati romanzi, a volte usciti in più edizioni, in cui ha affrontato varie tematiche relative a quest’età certamente difficile per l’educazione e la crescita. Ora lei nel romanzo Centauro di carta (Aurelia, Asolo, 2012, pp. 120, € 13,50) non soltanto è tornata su queste tematiche con un sedicenne appassionato di motociclette e presto morto in un incidente, ma ha anche scandagliato con fine analisi psicologica le figure dei dolenti genitori, e in particolare quella della madre.

In varie pagine il giovane Marco è definito viziato, prepotente, tiranno, invasato. Disubbidiente come Icaro, egli non ascolta le parole dei genitori e fa tutto di testa sua. Bocciato a scuola, coltiva la passione per il motociclismo, ammirando in camera sua un grande affisso riproducente un centauro, fino a farsi acquistare una potente motocicletta dal padre, nonostante l’opposizione della madre che ne paventa i pericoli. Ma egli poco dopo trova la morte nel tentativo d’emulare un corridore su un percorso di gara che il padre pur gli aveva proibito di tentare subito. E così il centauro di carta dell’affisso murale rappresenta la fragilità d’un principiante che nella sua presunzione si sbriciola per imprudenza e imperizia.

Dopo l’incidente la madre si barcamena fra realtà, fantasia e follia, costringe il marito ad una lunga vacanza solitaria e nella solitudine d’una città agostana entra in una dimensione surreale, farneticando col figlio morto e cercando ambienti, cose e persone che il figlio stesso frequentava, fra cui la fidanzatina Luisa. Fra gli ambienti ovviamente c’è la scuola, che in Settembre si rianima e pullula di vita. E quando lei si fa condurre al luogo dell’incidente, la croce posta da qualche pia mano non le dice niente, perché lei ha perso la fede e le riesce difficile incontrarsi con Cristo. Il vuoto domina e nemmeno la magia dei colori autunnali ha più qualcosa da esprimere, perché nell’opinione della madre il figlio è morto volando in cerca della bellezza e dell’armonia dell’universo e nel vano tentativo di conquistarsi l’attenzione d’un amico.

A questo punto forse i lettori s’aspetterebbero una decisione di divorzio dei coniugi, ognuno dei quali imputava all’altro la responsabilità dell’accaduto. Ma non è così: dopo un periodo di tensioni e dopo che la madre ha scoperto nel diario di Marco l’inquietante frase “Perché mi hanno messo al mondo?”, ognuno dei due riconosce la sua responsabilità e aiuta l’altro a venirne fuori; la coppia si ricompatta e alla fine la madre ad un compagno del figlio invitato a casa non soltanto regala un oggetto fra quelli di Marco a lui piacente, e nella fattispecie il famigerato centauro di carta dell’affisso murale (che così viene rimosso da quella casa), ma addirittura gli annuncia in un pianto di liberazione la prossima nascita d’un fratello del defunto.

In conclusione non si può non sottolineare la molteplice positività di questo lavoro: l’autrice, che ha partecipato da esperta a convegni e seminari sull’educazione giovanile, lancia un messaggio importante affinché i genitori non siano sempre condiscendenti coi figli e non facciano sì che per loro, come per il protagonista di questo romanzo, i sogni, gl’ideali e lo scopo stesso della vita si riducano al binomio “una moto e una ragazza”. Altro messaggio importante consiste nel mantenimento e anzi nel rafforzamento del vincolo coniugale in situazioni così drammatiche, al di là del ricorso al facile divorzio. A quest’ultimo riguardo, questo romanzo richiama Piccolo mondo antico d’Antonio Fogazzaro, in cui c’è una figlia che muore in tenera età, mentre i genitori, dopo un periodo d’incomprensioni e di distanza, nonché di perdita della fede da parte della madre, si ricompattano e nella nuova intesa concepiscono un altro figlio.

La forma grafico-editoriale di questo libro è elegante, pur con qualche capoverso non rientrante, e il romanzo si legge piacevolmente, nonostante qualche svista (ad es. a p. 75 Luisa deve intendersi Eleonora) e una punteggiatura carente nei vocativi, che può suscitare equivoci d’interpretazione. Le parole straniere non sono tipograficamente differenziate, ma l’autrice biasima la mania d’imporre nomi stranieri ai figli (ad es. a p.77 scrive: “Strano nome Rudy. Meglio Rodolfo”).

Con tutto ciò il romanzo Centauro di carta d’Alessandra Jesi Soligoni va consigliato non soltanto ai figli, ma anche ai genitori e ai docenti, dato il delicato compito a cui sono chiamati.

 Carmelo Ciccia

 

Luciana Grillo

Romanzo agile, che si legge tutto d’un fiato e che emoziona il lettore posto al centro della scena, spettatore – suo malgrado – di momenti di vita familiare, di solitudini, di affetti, di passioni.
La storia è apparentemente semplice: una famiglia benestante, quasi «da mulino bianco», una mamma amorevole e apprensiva (come credo tutte le mamme), un figlio adolescente, con i suoi interessi e le sue ribellioni, un padre “debole” che desidera accontentare suo figlio forse perché vuole dargli ciò che lui stesso ha sognato e non ha avuto.
Vuole accontentarlo anche se sua moglie non è d’accordo.
Vuole comprargli la moto perché possa sentirsi in tutto uguale agli altri adolescenti.

E tutto sembra prevedibile, anche il terribile incidente che sconvolge quel piccolo mondo.
Invece, nulla è semplice né prevedibile, perché ciascun individuo reagisce al dolore in un modo tutto suo, assolutamente personale, talvolta irrazionale, quasi sempre incomprensibile.
Un dolore che ti isola, ti fa sentire solo nel deserto, ti carica di infinite responsabilità, di «se…», di «ma…»
Al dolore comunque composto e forse rassegnato del padre si contrappone un rifiuto categorico della madre che non sa e soprattutto non vuole accettare la morte del figlio.

Eleonora vuole stare da sola, vuole isolarsi dal mondo, vuole pensare, ripensare, rivivere giorni mesi anni, vuole capire perché, vuole indagare, anche incontrando i compagni di scuola di Marco, quelli che andando in vacanza da soli – perché i genitori glielo avevano permesso! – avevano mandato una cartolina a Marco rimasto a casa (con la moto nuova conquistata!).
E poi cerca di conoscere la ragazzina di cui Marco forse era innamorato e persino arriva a leggere il diario di Marco… Probabilmente nel tentativo di riappropriarsi del suo cucciolo, per averlo di nuovo, come al tempo della gravidanza, solo per sé, ricreando una situazione di irripetibile intimità, nella quale non c’era posto per nessun altro, nemmeno per Guido, padre di Marco.
Eppure, il padre di Marco era il suo uomo, quello che aveva amato, al quale aveva dato un figlio, al quale aveva dedicato forze, tempo, vita.
Lo aveva mandato via, in ferie da solo, lontano da lei, dopo la morte di Marco; e lo vide tornare a casa stanco e smagrito, tormentato da dubbi e incertezze, forse da un inconfessabile senso di colpa.
Quando l’estate finisce e l’autunno sembra richiamare a sé le forze della natura prima dell’inverno, anche Eleonora sente l’esigenza di ricomporre il suo nucleo familiare: il pianto sconsolato «da bambino» di Guido, la tenera carezza di Eleonora sul capo piegato di lui, la voglia di ricominciare una nuova vita a due sono i primi mattoni per la ricostruzione, sono la premessa per una serenità riconquistata, mentre di nuovo in Eleonora palpita la vita.
Alessandra Jesi Soligoni racconta con semplicità una storia «qualunque», che ogni giorno possiamo leggere sui giornali: una moto lanciata a tutta velocità, un ragazzo che in sella si sente onnipotente, una famiglia dolente davanti al corpo sull’asfalto.
Tutto qui?
No, nel romanzo c’è molto di più: una riflessione meditata sui nostri destini, una ribelle insofferenza agli eventi, un dolore che devasta animi e luoghi…
Un dolore dal quale si può guarire – senza dimenticare – ma usando la sofferenza come lievito.
Per riconquistare il desiderio di vivere, di donare, di amare.


Nicoletta Lazzarini

Allo scorcio del 2012, Alessandra Jesi Soligoni presenta un lungo racconto la cui protagonista, Eleonora, è l’incarnazione dell’abitudine all’isolamento in seno alla famiglia, forzosamente distratta dal proprio desiderio da un “uso socialmente funzionale” del suo ruolo biologico, definita quindi alternativamente con i sostantivi moglie-madre-donna più spesso che con il suo nome proprio e distolta dal concreto – malgrado tutto, ancora oggi essenziale – bisogno di relazione, d’umana comprensione e considerazione, che ogni individuo cova in sé sia dentro sia fuori casa.
In brevi capitoli il profilo di questo personaggio, che per la tiepida e squisita leggiadria ricorda la perfetta aderenza di Joanne Woodward al cliché della casalinga nel film di James Ivory “Mr. & Mrs. Bridges”, si dilata in un faticoso percorso di auto-riconoscimento. Sul dorso di copertina, nella presentazione del romanzo “Mrs. Bridges” di Evan S. Connell presso Edizioni e/o del 1990 – stesso anno del film – si legge di questo banale, straordinario personaggio femminile che se non capisce il mondo […] e si aggrappa alla sua casa-nido, ai valori tradizionali, perlomeno Mrs. Bridge non sentenzia e non odia. Questa è anche la vera rivoluzione di Eleonora, nemmeno lei sentenzia e odia: ogni energia e minuto successivi al lutto per la morte del figlio diventano invece strumento di indagine profonda – sottolineata, nella scrittura, dall’uso frequente di avverbi – e di tensione verso l’esterno con un’attenzione e una partecipazione inconsuete alla sua personale inclinazione al “sovrappensiero”. Ciò che le rimane dopo la prematura scomparsa di Marco è un desolato rapporto coniugale, narrato in breve così come già Ian McEwan aveva fatto in “Bambini nel tempo”; imbarazzo, estraneità, senso di colpa, antica e rinnovata assenza di comunicazione autentica.
Il quotidiano lavoro che l’autrice narra è lo spostamento delle faccende domestiche in stanze vuote e silenziose, la loro apertura, l’assenza di polvere che esprime la determinazione ad un risveglio sociale, una nuova consapevolezza emotiva. Quando il lettore accompagna Eleonora, nei diversi capitoli, alla ricerca di una fisicità della memoria, torna alla mente “La stanza del figlio” di Nanni Moretti, film del 2001 vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes: nella riproduzione della musica ascoltata da Marco, nell’arrivo della cartolina spedita dagli amici ignari della sua morte, nell’incontro con la fidanzata, nel progetto sfumato della vacanza in campeggio senza genitori di cui rimane traccia sul diario.
Non è un racconto calato nella contemporaneità; già dall’incipit risalta l’azione al tempo passato, prossimo o remoto, al più, imperfetto. Una tensione alla dimensione antistorica della vicenda, che rievoca più volte il mito dell’adolescente abbagliato dalla sete di libertà e d’emancipazione, riporta a Dedalo e Icaro, uomini in volo, come Guido e Marco – padre e figlio appassionati di motori – o John e Gabriel, papà e bimbo contrapposti da atavico antagonismo (in “Oltre le scale” di Lorrie Moore) dove la moglie/madre, la donna, è sempre e solo una figura di sfondo, ininfluente, senza capacità deliberativa, senza capacità di salvare la propria creatura, vittima della fretta di crescere. E’ sul tempo, meteorologico e cronologico, che la trama percorre le tappe dell’attesa del superamento di sé, in velocità e lentezza, con il passato e il presente che si specchiano nel gioco dei riflessi e nella lumaca che scivola piano da sotto la mano aperta di Marco esanime, sbalzato dalla moto lanciata a pieno regime tra le curve dei colli.

Mafra Gagliardi
Centauro di carta, il nuovo romanzo di Alessandra  Jesi Soligoni pubblicato da Aurelia  Edizioni, conferma – ed esalta  -le qualità della sua poetica. Chi ha letto e apprezzato Ines del Traghetto, Il mondo di Ras, L’eredità dei Bisnenti – per citare solo alcuni dei romanzi  della prolifica scrittrice trevisana   – ritrova qui quel suo timbro particolare, fatto  di una scrittura sommessa, che evita  costantemente  ogni  enfasi, ogni ridondanza. Preferisce  piuttosto   disegnare la realtà nei suoi aspetti quotidiani meno  eclatanti , penetrando  sotto la superficie delle cose, ma centrandone il cuore. Un tessuto narrativo costruito  tutto sul “levare” di calviniana memoria, di cui fa parte   anche il  silenzio, il “non detto”:  là dove si incontrano le situazioni  più cariche di pathos ( la morte del ragazzo per un incidente di moto, la scoperta della nuova gravidanza di Eleonora), la narrazione  – quasi per pudore -  evita di descriverle, le avvolge in un bozzolo di silenzio,  coinvolgendo   così  l’ immaginazione soggettiva del lettore..
E anche la protagonista del romanzo, Eleonora, è una donna comune, modesta, che non ha nulla di eccezionale. Eppure riesce in un’impresa  straordinaria  che ci coinvolge  nel profondo:  riesce a  elaborare  il suo lutto per la morte del figlio e ad accettarne l’angosciosa  scomparsa. Acquisisce  in cambio una nuova consapevolezza, una maturità prima non posseduta  E si apre a un senso di maternità universale, che si rivolge “ad altri figli, non partoriti dal suo grembo ma egualmente per lei ragione di amore, di un amore sconfinato” (pag.116) .
Un variegato  microcosmo di personaggi (il marito, gli amici del figlio, la piccola  innamorata) si muove intorno ad Eleonora come un coro intorno alla voce solista: personaggi sempre chiamati a confrontarsi  con  la sua  interiorità e a scandagliarne  le emozioni, i  ricordi, le speranze.
Tutto questo, tradotto nella delicatezza della scrittura, lascia infine al lettore un senso di grande  serenità e  di rinnovato amore alla vita, a  cui il rapporto appassionato con la natura può offrire un contributo significativo.